Recensioni-I libri, i video e le conferenze di Maria Soresina

Riconoscimenti

 

tesi


Tesi di laurea

La Divina Commedia e i Catari
nelle riflessioni di Maria Soresina 

Sofia Zanotti
a.a. 2016-17
Relatrice: Prof. Giuliana Nuvoli

 















 
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L'Osservatore romano


2 dicembre 2016

 

DANTE CATARO?
Una tesi ardita e paradossale
 
di Marco Vannini
 
Nel cuore di Firenze, a pochi passi da Santa Maria Novella, al centro di una piazzetta una croce in pietra ricorda lo scontro armato lì avvenuto nel 1244 tra cattolici e catari. Catari erano infatti presenti nella città sull’Arno in una proporzione che l’inquisitore domenicano Raniero Sacconi, che scrive in quegli anni la sua Summa de catharis, stima un terzo della popolazione, particolarmente nelle classi colte e nobili. Catare erano molte famiglie illustri, come i Nerli; cataro era Farinata degli Uberti che, morto nel 1264, fu condannato come eretico nel 1283 e la sua bara bruciata pubblicamente, mentre i beni di figli e nipoti venivano confiscati, dal momento che un crimine così orrendo come l’eresia andava punito non solum in vivos sed etiam in mortuos et etiam in heredes, come suonava appunto la legge inquisitoriale.
Nel 1283 Dante aveva diciotto anni e avrà probabilmente assistito al rogo della bara di Farinata (come non pensare alla somiglianza con la pena cui il capo ghibellino è sottoposto nell’Inferno!); cataro era il caro amico Guido Cavalcanti, per cui l’ipotesi di un Dante cataro, o comunque simpatizzante per i catari, non è poi così peregrina: è quanto ha sostenuto Maria Soresina nel suo Libertà va cercando. Il catarismo nella Commedia di Dante (Moretti e Vitali) uscito qualche anno fa, nel 2009.
Per chi, come chi scrive, è abituato a pensare all’Alighieri come al poeta cattolico per eccellenza, la tesi del libro suona ardita, quasi paradossale, ma va riconosciuto all’autrice il merito di avere rivolto l’indagine a un settore che — stranamente — gli studiosi non avevano mai preso in considerazione. 
 n primo luogo va detto che il suo libro è una precisa, puntuale analisi del testo, ove il fine di evidenziare come il catarismo sia una fonte primaria della Commedia (e non solo: si fa riferimento anche al Convivio e alle altre opere del poeta fiorentino ) è sostenuto su base rigorosamente filologica e storica, e non ha niente in comune con gli esoterismi e le fantasie che hanno spesso trovato alimento nel poema e che oggi vanno tanto di moda. 
Per questo medesimo motivo, in secondo ma non secondario luogo, va detto che alcuni cruciali passi delle tre cantiche trovano nell’ambito della dottrina catara una spiegazione più convincente che non in quello tradizionale, di tipo tomista. Del resto, che il poeta percorra una via intellettuale autonoma, rivendicando una propria missione profetica, non era sfuggito a nessuno, né nel remoto passato, in cui la Commedia era stata condannata da molti teologi, né al presente: basti ricordare Hans Urs von Balthasar, che rileva acutamente come all’Alighieri sia del tutto estranea l’idea di redenzione e la croce reale di Cristo, ovvero la dottrina fondamentale del cristianesimo. 
´Che il Padre consideri la Crocifissione del proprio Figlio unigenito come vendetta, cioè sfogo della sua ira contro un Innocente che paga per gli uomini colpevoli, né i Padri né i Dottori l’hanno mai detto ed è arditezza tale che soltanto l’Alighieri poteva permettersiª aveva già scritto Giovanni Papini a proposito del canto settimo del Paradiso. 
Piccoli segni — a volte una sola parola del poema, posta però significativamente in evidenza — o interi canti sembrano comunque confermare la tesi di Maria Soresina, o, almeno, costringono a interrogarsi seriamente sulla sua interpretazione. Lo spazio di una rilettura non permette di darne conto, ma per chiunque conosca e ami la Divina Commedia, il libro è comunque avvincente. Nello stesso tempo esso contribuisce a gettare luce su un mondo, quello cataro, completamente scomparso, cui però alcuni — pensiamo ad esempio a Simone Weil — hanno guardato quasi come alla vera realizzazione dell’ideale cristiano.
ìBuoni cristianiî chiamavano infatti se stessi quelli che noi chiamiamo catari, rivendicando il loro legame col cristianesimo delle origini, nel quale si trovava la dottrina che distingue nell’uomo tre componenti: corpo, anima e spirito (cfr. 1 Tessalonicesi 5, 23). La distinzione, anzi, l’opposizione tra anima e spirito (cfr. 1 Corinzi 2, 14-16) era essenziale per i catari, per i quali lo spirito è la scintilla divina, imprigionata nel corpo e nell’anima, anelante a tornare alla sua patria, ovvero al mondo di luce dal quale proviene. Questa idea era, nel catarismo, strettamente unita alla credenza nella reincarnazione (della quale l’autrice addita le tracce nella Commedia), ma non v’è dubbio che essa abbia il suo fondamento primario nella filosofia classica, nell’esperienza dell’intelletto attivo aristotelico, che è ìseparato, divinoî, e proviene all’uomo ìdall’esternoî, esperienza assolutamente indipendente dalla credenza nella reincarnazione. 
In questo cruciale punto lo studio di Maria Soresina si interseca con quelli, ben noti, sull’averroismo di Dante, aprendo spazi di ricerca nuovi e affascinanti: pensiamo, ad esempio, al rapporto con l’eresia cosiddetta del ìlibero spiritoî e con Eckhart, contemporaneo del poeta fiorentino. 
 



SOLE-Quirino_Principe

Il sole 24 ore


domenica 16 giugno 2013

 

DEGNI DI NOTA

 

Il flauto suonato da Dante

Maria Soresina ricostruisce le connessioni tra l'opera di Mozart e il capolavoro del sommo poeta

 

di Quirino Principe

 

Esistevano un tempo, in Italia, la figura del "dantista", e una disciplina ben configu­rata, la "dantologia”. L'arma­tura filologica e linguistica corazzava uomini come Michele Barbi, Ernesto Giacomo Parodi, Francesco D'Ovidio, Pietro Fraticelli, Giuseppe Vandelli. Erano I tempi della "terza Italia", vulgo dell’Italietta, ossia di quell'Italia de­ludente, mediocre, che rispetto al fervore risorgimentale si comportava come una maionese impazzita o un soufflé andato a male. Fierissimo censore del fallimento fu Carducci, a sua volta insuperabile filologo dantista e scopritore di testi capitali nell'ambito delle Rime dantesche. Strano: la lettura di Dante è sempre stata un com­bustibile, grazie ai suoi innumerevoli sti­moli etici e politici, e in particolare con la sua terribile energia anticlericale, mentre uomini come Parodi, Barbi, D'Ovidio, Vandelli, Fraticelli, distinti galantuomini e fer­rati accademici, accentuavano la coesione morale e civica cui Dante poteva essere au­spice, mentre sopivano la polemica guelfo-ghibellina, eterna nell'indole italiana.

Oggi non esiste più la figura istituziona­le del dantista, né ha più il rilievo di allora il configurarsi di una dantologia con preci­si statuti all'interno della italianistica o del­la teoria della letteratura come l'hanno in­tesa, di seguito, Spitzer, Auerbach, Conti­ni, Warren, Wellek, Bloom. Dal centro del­la nostra personale irresistibile passione per Dante, lo diciamo con desolazione con “doléance": Dante, fatte le debite e cla­morose eccezioni (gli studi severi, agguerriti e illuminanti di Enrico Malato, la lettu­ra signorile e "gotica" di Vittorio Sermon­ti. l'eterodossa ed entusiastica esplosione verbale di Roberto Benigni), si legge assai meno che un tempo. Frutto, da un lato, del­le imbecillità dette nel 1968 e seguenti, quando giovani analfabeti sostennero es­sere Dante un reazionario da sostituire con il proletario Verga (ignorando che Dante tu un ribelle irriducibile e Verga un sostenitore del fascismo in Sicilia) e furo­no in simili scemenze affiancati da docen­ti lacchè; onda lunga. d'altro lato, della freddezza palesemente ostile della cultura cattolica nei confronti di un anticlericale assoluto come Dante fu. Ed è stato in que­sto contesto che Maria Soresina ha scosso potentemente e rivoltato e sconquassato il rapporto tra la cultura italiana e Dante: lei, autrice interamente autonoma, isolata, in­dipendente, libera, armata di un coraggio leonino.

I libri di questa autrice, non molti ma ric­chi di moltissime idee, tanto che se ne è travolti, non sono aggiustamenti, precisa­zioni, correzioni: sono ribaltamenti, e ri­cordano la spada Notung spezzata, inutil­mente stagnata e incollata da Mime, infine gettata in frammenti nel crogiuolo e rifusa in qualcosa di saldo e potente da Siegfried, oppure la paccottiglia metallica gettata nel­la fornace e divenuta la statua di Perseo grazie all'arte temeraria di Cellini. Nella dantologia ancora "in uso" subito dopo la Seconda guerra mondiale era diventato luogo comune e citato persino dagli scola­retti di liceo il libro di Miguel Asín Palacios, La escatología musulmana en la Divina Comedia (1919). Maria Soresina lanciò un macigno nello stagno pubblicando Le se­grete cose. Dante tra induismo ed eresie me­dievali (Moretti & Vitali. 2002), dove si ridi­mensionava la tesi “islamistica". Una scos­sa più violenta la suscitò Libertà va cercan­do. Il catarismo nella «Commedia» di Dante (Moretti & Vitali, 2009), in cui la Soresina dimostrò come Dante fosse cátaro esatta­mente come i martiri albigesi massacrati con perfidia e crudeltà tra il 1209 e il 1229 per ordine del papa Innocenzo III.

La Soresina, a sostegno della verità, mise a disposizione del lettore la sua sapien­za storiografica e filologica: per esempio, è strano ed esaltante rileggere il Canto XXIV del Paradiso, in cui l'interrogatorio di san Pietro e le risposte di Dante («Dì, buon cri­stiano, fatti manifesto...») seguono il for­mulario cátaro d'iniziazione. Ed ecco ora un libro ancora più clamoroso, poiché es­so sconvolge e rinnova da cima a fondo, valendosi della rivoluzione in seno agli stu­di su Dante avvenuta nel libro del 2009, un'altra disciplina, l'analisi drammaturgi­co-musicale del teatro d'opera. Qui è Die Zauberflöte di Mozart a illuminarsi di luce dantesca. Tamino fugge dinanzi al serpen­te come Dante dinanzi alle tre fiere, Mo­zart e Schikaneder usano simboli da Purga­torio dantesco come il passaggio attraver­so fuoco e acqua, Tamino è guidato da Pamina come Dante da Beatrice, e Die Zauberflöte diviene un cammino iniziatico verso un mistero che è infinitamente più arcano di quanto ogni frammassoneria e ogni eso­terismo abbiano mai promesso. Così l'esplosione genera altre deflagrazioni e detonazioni, forse un altro big bang... al prossimo libro?

 

amadeus

Amadeus

Settembre 2012


























 





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  Novembre 2004

 pp. 44-51






 

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